La storia del mondo antico è stata segnata da innumerevoli battaglie, che si sono susseguite in una catena di eventi che ne ha radicalmente cambiato il volto e l’assetto geopolitico. Alcune di queste sono state particolarmente significative, anche per via del significato che veicolano. Tra queste non si può fare a meno di citare la battaglia di Gaugamela, che ha visto scontrarsi Alessandro Magno e Dario III, sovrano dell’Impero Achemenide.

Questo evento epico trovò numerose rappresentazioni nel mondo dell’arte, che ci ha tramandato la sua importanza: tra leggenda e realtà, la battaglia di Gaugamela è emblematica di come talvolta una strategia arguta possa prevalere sulla potenza armata.

Le origini della battaglia di Gaugamela: la storia di un’inimicizia di vecchia data

Le asperità tra l’Impero Persiano e la Lega di Corinto iniziarono ben prima che Alessandro Magno, nel 331 a.C., assumesse il comando di quest’ultima, e ciò era dovuto alla contesa dei territori strategici che delimitavano i confini tra Europa e Asia. L’imperatore macedone, in particolare, puntava ad estendere il suo dominio, e aveva organizzato le sue forze raccogliendole in un esercito talmente possente e ben preparato che nessun altro sovrano del mondo antico poteva sperare di contrastarlo.

Infatti egli riportò numerose vittorie contro l’armata persiana, a cominciare dalla famosa battaglia di Isso, che culminò con la sconfitta di Dario e il rapimento, da parte di Alessandro, della moglie, della madre e delle due figlie di quest’ultimo, che non ebbe altra scelta se non ritirarsi, trovando rifugio a Babilonia.

A seguire vennero altre clamorose sconfitte, a Tiro, Gaza e Mazace, tutte vittime della Lega di Corinto. A fronte di questo assetto, ben tre volte il sovrano persiano cercò un compromesso tentando di avanzare un negoziato che ristabilisse un equilibrio tra i territori e gli restituisse le prigioniere, entrambi punti sui quali Alessandro Magno fu irremovibile. Entrambi si prepararono così a radunare le ultime forze per dare luogo alla battaglia decisiva, che avrebbe dovuto porre fine alla rivalità.

Dario cercò una rivalsa tentando di portare le condizioni in cui sarebbe avvenuta la battaglia in suo favore, cercando uno scontro in campo aperto. Tale circostanza avrebbe rappresentato l’unico modo per sconfiggere l’esercito della Lega di Corinto, che poteva contare su un numero molto inferiore di soldati. Sperò così che il condottiero macedone avrebbe condotto le sue forze verso i campi sterminati che circondavano Babilonia.

Alessandro, nell’atto di apprestarsi ad attraversare il fiume Tigri, non trovò così alcuna resistenza, e venne anzi accolto da un’eclissi di luna, che giudicò essere un segno divino: l’espressione della volontà degli dei di incoronarlo imperatore del Medioriente.

Da parte loro i persiani, vedendo quanto più organizzata e impeccabile fosse l’esigua cavalleria macedone, ripiegò dalla sua posizione, secondo quanto riferirono gli esploratori. Dario vide ridursi in maniera drastica le sue possibilità: sapeva che la sola che gli rimaneva percorribile era quella di dirigersi verso la collina di Gaugamela, nei pressi di Mosul (un territorio oggi occupato dall’Iraq). Fu un ultimo disperato tentativo, in cui nemmeno i signori della guerra più vicini all’imperatore credevano.

Cosa accadde durante la battaglia di Gaugamela

Ecco così che, nel mese di ottobre dell’anno 331 a.C., ebbe luogo la battaglia di Gaugamela, in un giorno sul quale ancora gli storici continuano a dibattere e discutere. Lo schieramento iniziale vedeva già pronta l’armata persiana, con Dario protetto dai suoi migliori guerrieri, arricchita di una quindicina di elefanti agghindati e armati per la guerra, oltre a satrapie e carri falcati.

L’esercito di Alessandro Magno, invece, aveva un’organizzazione differente, divisa in due ali: la destra era guidata dall’imperatore, mentre la sinistra dal luogotenente Parmenione. Una precisa e definita strategia prevedeva che a quest’ultimo spettasse il compito di annientare la cavalleria di Dario, costringendo l’esercito a retrocedere, mentre Alessandro avrebbe attaccato dal lato destro irrompendo tra le linee dello schieramento e gettandolo nella confusione.

battaglia

Del resto, i macedoni erano nettamente inferiori di numero, mentre i persiani erano numerosi cinque volte tanto. Dati questi presupporti, una strategia ben articolata rappresentava l’unico modo per uscire vincitori dallo scontro.

E infatti le previsioni di Alessandro si rivelarono esatte: all’interno dell’esercito avversario si crearono numerosi vuoti e punti indifesi, e i cavalieri furono in breve annientati da Parmenione. Egli teneva occupate le forze persiane a sufficienza da consentire all’ala destra di sopraggiungere all’attacco senza che esse se ne accorgessero, sfruttando quindi l’effetto sorpresa.

Il bilancio della battaglia parlò chiaro: l’esercito di Dario contò più di 50mila vittime, mentre tra i macedoni perirono solamente 1200 uomini. Una chiara dimostrazione di come astuzia, velocità e organizzazione rigida e ferrea da parte di un abile calcolatore possano prevalere sulla potenza di una grande armata.