C’è un modo nuovo di ascoltare ciò che la storia non dice, un metodo per leggere i segreti incisi nel fuoco, silenziosi ma persistenti. È questa l’impresa portata avanti da un gruppo di ricercatori che ha scelto non solo di scavare, ma di ascoltare i mattoni. Non è una metafora: sono proprio i mattoni della leggendaria Porta di Babilonia, detti anche Porta di Ishtar, a raccontarci oggi – con strumenti di nuova generazione – un’altra versione dei fatti.
E quello che emerge non è un semplice dettaglio tecnico, ma una finestra spalancata sulla cronologia e le ambizioni di uno dei regni più potenti della storia antica.
Cosa tratteremo
Babilonia non costruiva per caso
Quando Nabucodonosor II fece erigere quella che sarebbe diventata una delle porte monumentali più famose del mondo, non lo fece solo per decoro. La Porta di Ishtar era parte di un sistema difensivo complesso, ma anche – e forse soprattutto – un messaggio politico.
Al passaggio degli eserciti, dei mercanti, degli ambasciatori stranieri, la Porta comunicava grandezza, stabilità, supremazia culturale. I mattoni smaltati in blu, le figure mitologiche in rilievo, la scala della struttura: ogni elemento era studiato per impressionare. Ma la vera domanda, rimasta a lungo senza risposta, è: quando esattamente fu costruita? E in che tempi si svolsero le sue tre fasi costruttive?
Un’indagine millimetrica, un’intuizione geofisica
Negli ultimi anni, i metodi classici della ricerca archeologica sono stati affiancati – e in certi casi superati – da strumenti scientifici di frontiera. L’archeomagnetismo è uno di questi. Una disciplina capace di leggere l’impronta magnetica lasciata nei materiali al momento della loro cottura, e quindi restituire una stima della loro età.
In pratica, ogni mattone, una volta cotto, registra il campo magnetico terrestre esistente in quel preciso momento. Confrontando questi valori con curve magnetiche note, è possibile attribuire una datazione approssimativa, ma molto più solida di quanto si potesse ottenere con altri metodi in assenza di materiali organici.
È quello che ha fatto un team di ricercatori internazionali, con la collaborazione dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e del laboratorio di paleomagnetismo dell’Università di San Diego.
Mattoni, guerre e potere: l’impronta del tempo
L’analisi ha riguardato cinque mattoni provenienti da tre diverse fasi della Porta. Non semplici blocchi da costruzione, ma archivi di informazioni invisibili, campioni minuscoli – più piccoli di un’unghia – ma carichi di dati.
Il confronto tra i livelli di intensità magnetica ha evidenziato differenze significative. Segno che le varie sezioni della Porta non sono state realizzate nello stesso periodo, ma in momenti successivi, verosimilmente legati a fasi diverse del regno di Nabucodonosor II.
Ecco dove entra in gioco la storia.
La conquista di Gerusalemme come punto di svolta
Nel 586 a.C., Babilonia conquistò Gerusalemme, mettendo fine al regno di Giuda. Un evento spartiacque, non solo politico ma simbolico. L’ipotesi degli studiosi è che una delle fasi costruttive della Porta possa essere contemporanea o successiva a questo evento, usata come forma di autocelebrazione del potere babilonese.
Non sarebbe la prima volta che l’architettura viene impiegata come proiezione del trionfo militare. E i mattoni analizzati sembrano confermare questa teoria: la loro “firma magnetica” corrisponde a una fase magnetica posteriore al 586 a.C.
L’anomalia che ha permesso tutto
Il vero colpo di fortuna? Una coincidenza scientifica che i ricercatori chiamano “anomalia dell’Età del Ferro”. In quel periodo, il campo magnetico terrestre – solitamente stabile e lento a mutare – subì variazioni rapide e marcate. Un fatto raro nella storia geofisica, ma fondamentale per chi lavora con datazioni archeomagnetiche.
Grazie a questa anomalia, è stato possibile leggere con maggiore precisione le differenze tra i mattoni. In un certo senso, la Terra stessa – attraverso il suo campo magnetico – ha lasciato una traccia evidente del tempo che scorreva.
Uno sguardo verso il futuro (guardando molto indietro)
Oggi, quello che sembra solo un esperimento riuscito su un monumento famoso, potrebbe aprire la strada a una nuova era per l’archeologia mesopotamica. Le città dell’antico Vicino Oriente – da Ur a Ninive, da Mari a Susa – sono disseminate di costruzioni in mattoni cotti, perfetti candidati per analisi archeomagnetiche.
La possibilità di ricostruire cronologie più accurate, di legare i monumenti ai momenti storici con maggiore chiarezza, rappresenta un’opportunità unica per storici, archeologi e geofisici.
Il silenzio racconta tutto
Nessuna iscrizione, nessuna tavoletta di argilla avrebbe potuto rivelare ciò che una manciata di frammenti da meno di tre millimetri ha appena sussurrato ai ricercatori. E quel sussurro è diventato voce, dato, pubblicazione scientifica.
La Porta di Babilonia non smette di affascinare. Non solo per il suo splendore artistico, ma perché continua a parlare, anche se in un linguaggio che solo oggi iniziamo a comprendere. E questa volta, lo fa attraverso il magnetismo della Terra, con precisione e senza bisogno di parole.